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Diario di Bordo - 9 Gennaio 2017

Lezione di Anna Consiglio

Dopo un paio di intense settimane di tosse e dolori, eccomi a recuperare appunti e pensieri dell’ultima lezione tenuta da Anna.
Il tema dei Confini con cui abbiamo cominciato la lezione è per me molto affascinante. Anche prima di esplorare il mondo del counseling ho fatto lunghe riflessioni sulle relazioni e i rapporti che colmavano la mia quotidianità. Spessissimo mi sono ritrovata a pensare alle singole persone che facevano parte della mia vita e ai confini che con loro c’erano, che non c’erano, che avrebbero dovuto esserci, che avrei voluto ci fossero, che avrei voluto sparissero.

E’ stata una fatica spesso quella di essere in grado di gestire questi confini, di tracciarli e di poterlo fare gentilmente o di cancellarli nello stesso modo, piuttosto che all’improvviso e senza spiegazioni.

Ho trovato quest’immagine in un articolo chiamato “Boundaries: Healthy Limits or Barriers to Relationships?” (Confini: Limiti sani o barriere per le relazioni?).
E’ proprio questo titolo ad esprimere esattamente il disagio che ho per anni provato nel non sentirmi in grado di vedere chiaramente i Confini che ponevo (o non ponevo) nelle mie relazioni e nel saperli gestire.
Ho pensato al titolo di un bellissimo libro di C. Terry Warner che mio papà tradusse anni fa: “Bonds that make us free”, ovvero “Legami che rendono liberi”.

Ed ecco le due facce di una bellissima medaglia che capisco essere fondamentale nel nostro lavoro di counselor: Legami e Confini.
Durante la lezione e poi durante la settimana ho sentito forte la necessità non solo di comprendere meglio questi strumenti, ma anche di imparare ad utilizzarli in maniera efficiente. Ovviamente tutti questi aspetti acquisiscono un significato diverso nel momento in cui vengono applicati ad una professione piuttosto che alla propria vita privata, anche se questo tipo di competenza è sicuramente importantissima ed un’incredibile risorsa in entrambi i campi.

Come ha detto Anna, i Confini sono la caratteristica distintiva che dà la qualità al lavoro del Counselor. In poche parole, Fondamentali.

Abbiamo poi toccato altri punti: l’importanza del capire il tipo di sofferenza di un cliente, l’importanza di essere in grado di determinare l’eventuale presenza o assenza di struttura, le fasi principali di un colloquio di counseling, i pattern di collegamento, l’importanza di individuare l’emozione predominante di un cliente nel primo incontro...

Non tocco questi argomenti accorpandoli insieme in un elenco per sminuirne l’importanza, ma per osservare il minimo comune denominatore.
Ciò che devo mettere nella mia valigia di counselor prima ancora di acquisire tutte queste competenze e che anzi mi permetterà di farlo, è la capacità e il desiderio di osservare.

Osservare senza pensare di sapere tutto, né di non sapere nulla. Osservare con uno o più obiettivi chiari in mente, una massiccia dose di curiosità e con il desiderio di ascoltare, cambiando la mia opinione o le mie ipotesi se necessario.
Durante la mia missione di volontariato in Canada, un dirigente locale della mia Chiesa aveva creato un motto, invitando tutti i fedeli a renderlo parte integrante della loro vita e del loro modo di vivere la cristianità: “First Observe, and the Serve”. (Prima osserva, e poi servi).

Parafrasando, non partire in quinta pensando di sapere tutto, di sapere come muoverti e ciò di cui gli altri hanno bisogno. Stai fermo, osserva, e poi agisci di conseguenza.
Per quanto in counseling il concetto di “servire” inteso come “essere strumento di” o “fare l’ufficio di” non sia il più adeguato, il concetto di essere “a servizio di” potrebbe esserlo; per questo motivo ho trovato questa citazione più adatta di quanto non avessi pensato inizialmente.

Insomma, per concludere, mi piacerebbe essere un po’ come un liquido non newtoniano, in grado di cambiare la propria viscosità in base allo sforzo a cui è sottoposto. Saper essere liquido e malleabile come sapere essere compatto e fermo, cambiando in base alle esigenze e alle necessità.

G.

 

 

Commenti:

B.:“I confini che rendono liberi” è un titolo che vale un libro, anche se il libro non ci fosse. Per me che ho vissuto molta parte della mia vita immaginando la libertà come conflitto continuo con regole e confini, arrivando a pensare che la libertà fosse possibile solo nello stare solo, rendermi conto che solo vivendo con altri lo posso essere è stata una conquista. Rimane anche un sogno incompiuto e insoddisfatto, perché il sogno è quello di relazioni in cui i confini non vengono contrattati ma si stabiliscono da soli e soddisfano me e l’altra persona, e nel sogno durano per sempre. È a quel “per sempre” che ho imparato, o mi sono rassegnato, a rinunciare. Poter vivere relazioni con confini che rendono liberi è già una grande conquista, un grande regalo della vita: e durano quel che durano. E io a quella cosa lì do il nome di Amore, che è un regalo che si può solo conquistare. 

 

C.: Bellissimo diario di bordo G.! Una specie di poesia, una metafora continua. Capisco anche che abbia “acceso” B., che ci ha poi coinvolto nel suo intimo sentire.

Come tutte le poesie, si presta a interpretazioni varie, a sogni e a letture diverse. Così, confesso di non aver colto come questo abbia a che fare con il counseling e i suoi confini, ma credo che per questo bisognasse stare a lezione. Non a caso chiediamo la vostra presenza! La materia è nuova e so che Anna ha lavorato un bel po’ per la programmazione della lezione specifica. Nelle prossime riunioni di équipe ci aggiornerà. AssoC ha iniziato a chiedere di inserire la tematica dei confini della professione da molto poco e, dall’anno prossimo, di inserire anche elementi di psicopatologia, anche per poter vederla. Non so alla fine fin dove Anna abbia deciso di arrivare. Sono curiosa.

Grazie dunque ad Anna, grazie a te G., grazie a B. e a tutti voi per esserci.

 

G.: Sono contenta che tu abbia scritto, perché avevo programmato di rispondere anche a B. e come sempre mi è scappato di mente.Cominciando quindi da lui, grazie per quello che hai scritto e condiviso, perché è davvero personale, intimo ed ispirativo. (si dice così? "inspiring"). 

Grazie anche a te C., in realtà nel leggere la tua mail mi sono domandata se il modo in cui ho scritto il diario di bordo fosse effettivamente pertinente rispetto ai temi trattati a lezione. Chiedo ad Anna e ai miei compagni che forse con una visione esterna sono in grado di rispondere. E' plausibile che non lo sia del tutto, ma che anzi io abbia preso alcune cose di cui abbiamo parlato e le abbia usate come spunto di riflessione. Per quanto il tema dei confini sia probabilmente per lo più legato al discorso delle nostre competenze, o meglio di ciò che è di nostra competenza e ciò che non lo è, da questo tipo di riflessione in me è nato anche un altro treno di pensiero (durato giorni) legato più al concetto di confine come l'ho espresso nel diario di bordo. Quindi può anche essere che non sia completamente legato a ciò di cui abbiamo parlato a lezione ma che sia un mio vissuto carico di esperienze, desideri, riflessioni che si è poi aggrappato al concetto trattato a lezione. 

In generale ad ogni modo queste lezioni mi hanno davvero arricchita moltissimo... tra queste e il mio incontro con te, ho davvero molto su cui riflettere ma anche da concretizzare.

Grazie!

Un abbraccio a tutti. 

 

C.: I diari di bordo non sono verbali, sono diari di bordo… La mia non era una critica, ma una constatazione: senza essere stata a lezione rimango incuriosita, con molte domande, e questo non è altro che positivo e bello. E’ anche ciò che i nostri maestri sistemici ci hanno trasmesso: la capacità di essere creativi, di ascoltare noi stessi, di incuriosirci e incuriosire gli altri, sono fondamentali nel nostro percorso formativo.

baci a tutti